È passato Natale, è arrivato Capodanno, siamo tornati a scuola, abbiamo preso il Covid, siamo guariti dal Covid, nel frattempo in quelle due settimane chiusa in casa ho superato tre colloqui e ho iniziato a lavorare in un’agenzia di comunicazione. Dimenticavo, oggi è tornato l’attacco di panico.
Sto continuato la psicoterapia.
Ho il mio fidato psichiatra.
Ho due uffici, uno dove lavoro il lunedì e uno dove lavoro gli altri giorni, per non essere sola, confrontarmi e stare insieme, quanto mi era mancato stare insieme, le pause pranzo insieme, i caffè insieme, le chiacchiere insieme. Ne avevo un bisogno che nemmeno sapevo quanto fosse grande.
Sto bene adesso, sono felice, sono realizzata, ho un lavoro che mi piace, quasi mi sento in imbarazzo a dire di essere soddisfatta di me. Non sono abituata e non l’ho mai fatto troppo spesso.
Se c’è una cosa che ha sempre fatto parte di me è pensare: se va bene è culo, se va male è colpa mia.
In questi mesi sto cercando di sradicare queste idee che non avevano né capo né coda. Come dice Carolina, la mia amica e collega di scrivania, ti sei fatta assumere mentre avevi il Covid, ora la sindrome dell’impostore te la puoi mangiare.
Attacco di panico, tu proprio tu, mi fai schifo. Come i finocchi bolliti alle elementari.
Eppure, saranno gli strascichi del Covid, sarà l’ansia di dover sempre far quadrare tutto, sarà spiegare la guerra ai bambini, sarà non so cosa ma stamattina è tornato l’attacco di panico, che se non l’avete mai vissuto, sono contenta per voi.
Ho fatto un errore, un piccolo errore al lavoro, risolvibile una manciata di secondi (e così è stato) e ci sta, sono lì da meno di un mese, tutti hanno capito, nessuno ha brontolato.
Eppure io sono crollata, da lì a cascata ho sbagliato tutto, un pasticcio dietro l’altro. Cose che faccio sempre non sapevo più come si facevano, cose che conosco le avevo dimenticate, programmi e app che uso ogni giorno mi sembravano la Stele di Rosetta e io quella che se l’era trovata davanti per la prima volta.
Le mie amiche mi hanno scritto: non siamo cardiochirurgi per il tuo errore non è morto nessuno. I miei colleghi me l’hanno detto. La realtà è questa, io non sono una cardiochirurga, sono una copy, sono anche una social media manager, so quello che faccio, lo so fare e gli errori capitano.
Io non so se è per tutto quello che stiamo vivendo in questi giorni, per le immagini che passano davanti giorno dopo giorno, per il senso di impotenza davanti a tutto questo, ma davvero mi chiedo, ha senso quello che faccio?
Poi mi dico sì, ce l’ha. Ne ha tanto. Non salvo vite ma faccio altro e lo faccio meglio che posso.
Sono carne e sono paure, sono ossa e sono sogni.
Sono umana, fatta di carne, ossa, organi, pensieri, paure, ormoni, sogni e speranze. Mi posso esprimere, do tutto quello che serve ai miei bambini.
E allora perché quello che è successo oggi? Perché se sono in un posto di lavoro in cui mi dicono “Silvia, tranquilla, non è successo niente, stacca un attimo e respira”, io mi sento di non poter respirare?
Io non lo so se l’attacco di panico vi ha mai preso e stritolato.
È una situazione strana. La testa diventa improvvisamente tutta piena di nebbia, le braccia formicolano. Il corpo non risponde. Le azioni più semplici diventano complicatissime. L’unica cosa è rimanere ferma. Come la preda che crede di nascondersi immobilizzandosi e quindi non facendosi vedere.
Io non so se a voi è mai capitato.
Ma fa veramente schifo.
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